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Trento 10 febbraio 2020
Il Sessantotto di Fabrizio Franchi
Contributo di Marco Boato al libro
«Addio al cortile
Il Sessantotto, la trasformazione di Trento e la narrazione dei quotidiani»

Passati i clamori del cinquantenario del movimento del ’68 a Trento, in Italia e nel mondo, che hanno caratterizzato tutto il 2018, nel contesto di una vasta pubblicistica, che dura ormai da decenni, arriva ora per il pubblico trentino, ma anche altoatesino, un nuovo saggio di particolare rilevanza e originalità.

Si tratta di una vasta ricerca condotta da un giornalista di grande valore, Fabrizio Franchi, che, al suo impegno professionale quotidiano soprattutto nel settore della cultura, ha affiancato un lungo lavoro di indagine centrato sul ’68 trentino (e con molti riferimenti anche altoatesini), ma inquadrato in una prospettiva più ampia di carattere storico, socio-economico, politico-istituzionale e giornalistico.

La rilevanza sta proprio in questo sguardo globale, all’interno del quale Franchi poi colloca tutte le vicende universitarie legate alla nascita e al primo decennio della facoltà di Sociologia (all’epoca, Istituto superiore di Scienze sociali). L’originalità consiste nel fatto che l’autore, dopo aver analizzato tutti gli avvenimenti prima, durante e dopo il ’68, dedica oltre sessanta pagine a ricostruire in particolare tutte le vicende delle testate giornalistiche trentine, dalle loro origini fino al loro rapportarsi con le vicende tumultuose degli anni Sessanta e del ’68 stesso in modo peculiare. Nessun altro l’aveva fatto prima di lui in questo contesto.

Leggendo con grande interesse il libro di Franchi mi è tornato alla mente che un altro giornalista, Concetto Vecchio, ormai nel lontano 2005, aveva dedicato un libro al ’68 trentino, intitolato “Vietato obbedire”. Sono due opere molto diverse tra di loro, e per questo risultano anche complementari. Ma l’aspetto singolare è che né Franchi né Vecchio erano ancora nati nel 1968, e che entrambi, pur facendo i giornalisti a Trento mentre hanno scritto i loro libri, sono originari di altre città, anche molto lontane. Del resto, anche un altro giornalista, questa volta trentino, ha dedicato vari libri a queste vicende. Mi riferisco a Luigi Sardi, che invece quegli anni aveva vissuto nel pieno della sua attività professionale.

A chi si chiedesse il perché il lavoro di Fabrizio Franchi si intitola singolarmente “Addio al cortile”, la risposta verrebbe (senza dichiararlo) arrivando a leggere l’inizio del quinto capitolo, che si apre con una citazione della famosa canzone di Luigi Tenco, che precedette il suo suicidio al Festival di Sanremo il 27 gennaio 1967: “Andare via lontano / a cercare un altro mondo / dire addio al cortile / andarsene sognando”. Il sottotitolo specifica: “Il Sessantotto, la trasformazione di Trento e la narrazione dei quotidiani”.

Una cifra interpretativa del libro sta già nel nome del progetto editoriale che lo pubblica: TeSto. Un progetto che “nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Bruno Kessler e la Fondazione Museo Storico del Trentino. Suo obiettivo principale è quello di favorire la divulgazione e l’apprendimento della storia quale strumento di crescita civile nel segno di una feconda integrazione culturale e di una responsabile convivenza sociale”.

La ricerca di Franchi corrisponde pienamente a queste finalità. Per le persone meno giovani dà l’occasione di ripercorrere criticamente un periodo storico, negli anni Sessanta, che magari hanno vissuto in prima persona e che ora possono analizzare confrontando le proprie esperienze con questa ricostruzione più distaccata. Ai lettori più giovani, che di queste vicende hanno al più sentito parlare dai loro padri o dai loro nonni, è data l’opportunità di conoscerle in modo critico e documentato, con una nuova consapevolezza civile.

Il percorso del libro si sviluppa partendo dal contesto più ampio – “Il Sessantotto: una rivolta mondiale” – per poi calarsi in una analisi del Trentino “dall’arretratezza alla modernizzazione”, ma anche con un riferimento documentato alla “autonomia speciale e i rapporti con il mondo sudtirolese dopo il ‘Los von Trient’ “.

Un intero capitolo è dedicato alla “preistoria” del ’68, cioè alle origini del progetto di Università a Trento, alla nascita di Sociologia nel 1962, al dibattito politico che si è svolto alle sue origini, alle caratteristiche originarie di quello che nacque come “Istituto universitario di Scienze sociali” e che, dopo il riconoscimento legislativo in Parlamento nel 1966, divenne “Istituto superiore di Scienze sociali”, abilitato a conferire una laurea in Sociologia (la prima e unica, allora, in Italia).

I successivi due capitoli entrano nel vivo della nascita e degli sviluppi del Movimento studentesco antiautoritario trentino, dalle prime due occupazioni del 1966 alla “settimana del Vietnam” del 1967, dalla lunga occupazione dell’inverno-primavera del 1968 fino al rapporto tra Movimento studentesco e Movimento operaio, rapporto iniziato proprio nel ’68, ma poi continuato con l’”autunno caldo” del 1969 e fino agli anni ’70.

I protagonisti di questa lunga vicenda che attraversa tutti gli anni Sessanta non sono solo gli studenti e i docenti, ma anche le figure politiche più significative dell’epoca: Bruno Kessler, fondatore dell’università, e Flaminio Piccoli, nel loro reciproco rapporto dialettico, e a volte anche molto critico. Altri protagonisti sono i principali leader sindacali di quel tempo, in particolare Giuseppe Mattei (una figura di grande valore, spesso rimossa dalla storia locale) e Sandro Schmid, più giovane, che ha a sua volta dedicato dei libri a quelle vicende. Entrambi all’inizio degli anni ’70 furono “esiliati” in altre città e in altri incarichi, proprio per il loro ruolo assai esposto nelle lotte operaie e nei rapporti col Movimento studentesco (un rapporto assai più stretto e costruttivo che in altre città italiane).

Il libro di Franchi analizza anche le origini del movimento femminista a Trento, con il gruppo del “Cerchio spezzato”, il ruolo delle “Comuni” studentesche, le esperienze di socialità nel quotidiano. E dedica ampio spazio a due vicende in parte “traumatiche” nel rapporto con la città: quella del famoso “controquaresimale” del marzo e quella della contestazione alla presenza del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, in occasione, il 3 novembre, della contestata celebrazione del cinquantenario della Prima guerra mondiale. Naturalmente, per quanto riguarda gli studenti, ricorrono nella ricostruzione di Franchi i nomi di Mauro Rostagno, di Paolo Sorbi, dello scrivente, ma anche di Renato Curcio, parlando del quale l’autore giustamente sfata la leggenda metropolitana che vorrebbe a Trento la nascita delle Brigate Rosse, che invece sorsero a Milano all’inizio degli anni ’70 e che con Trento e Sociologia non ebbero mai alcun rapporto.

Di grande interesse, anche per la professionalità propria di Fabrizio Franchi, è il lungo capitolo che egli dedica ai quotidiani e ai periodici trentini (tra questi, “Vita Trentina”), con particolare a approfondita attenzione rispetto alle vicende de “l’Adige” e dell’”Alto Adige”, quest’ultimo sia nell’edizione bolzanina che in quella trentina. A questo riguardo, rivelo qui una vicenda mai apparsa, ma di cui sono stato testimone diretto.

Il caporedattore trentino dell’”Alto Adige”, l’ottimo giornalista Luigino Mattei (fratello del sindacalista Giuseppe), di impronta laica e repubblicana, nei primi mesi del ’68, nel pieno dell’esplosione del movimento in tutta Italia, si propose a me come promotore di un vero e proprio quotidiano del Movimento italiano, nel quale sarebbe stato disposto ad impegnare anche parte delle proprie risorse personali. Ne parlai a livello nazionale con Guido Viale, Adriano Sofri e altri e l’impresa ci parve prematura e forse anche rischiosa per un professionista come Luigino Mattei. Glielo riferii, lo ringraziai, ma il progetto non vide mai la luce. Comunque, il migliore giornalismo a Trento è stato anche questo, nel rapporto con i movimenti di allora.

Dopo il ’68, Franchi conclude la sua ricostruzione storica anche con le vicende della strategia della tensione, dalla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 in poi (di cui tanto si è parlato e scritto nei mesi scorsi), fino ai drammatici momenti di tensione che caratterizzarono il 1970 a Trento.

Ma il libro si conclude con alcune riflessioni riferite nuovamente al contesto globale. E con un interrogativo: “Che cosa è stato il Sessantotto? Certamente, ascoltando i protagonisti, è stato ‘un momento di modernizzazione rispetto a una società arcaica’ (Luisa Passerini). Un passaggio verso la modernità non soltanto in Italia, ma in tutti i Paesi del mondo, perché ovunque la rivolta giovanile seppe adattare le sue rivendicazioni, le sue lotte, allo schema politico del Paese di appartenenza, per contestarlo, metterlo in discussione e anche per rinnovarlo”.

Alla fine, Fabrizio Franchi pone un altro interrogativo, con due possibili opzioni, che lascia aperte ad una ulteriore discussione, non dando una propria risposta. Si chiede cioè se il Sessantotto apra o chiuda un’epoca. Insieme a Luisa Passerini, che è stata sua docente all’università di Torino e che ne parla esplicitamente al termine della sua introduzione, personalmente propendo per l’opzione che “il Sessantotto apra un’epoca di modernità” e che “ancora oggi viviamo dentro una modernità ispirata da una rivolta globale che è stata capace di cambiare il mondo”. Del resto, forse non sarebbe comprensibile, oltre cinquant’anni dopo, la nascita di un movimento globale come quello dei “Fridays for Future”, che, più che di cambiare il mondo, si propone di salvare il Pianeta Terra. Ma comunque la discussione resta aperta e chiama in causa prima di tutti i lettori del libro, più o meno giovani.

 

  Marco Boato

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